NOTAIO - FUNZIONI NOTARILI - SUCCESSIONE - Cass. civ. Sez. II, 16-03-2018, n. 6551

NOTAIO - FUNZIONI NOTARILI - SUCCESSIONE -  Cass. civ. Sez. II, 16-03-2018, n. 6551

L'ufficio ricoperto dal notaio ha natura pubblica ed agli atti rogati dal medesimo nell'esercizio della sua funzione la legge attribuisce pubblica fede. Il notaio, nell'assolvimento dei compiti inerenti ad accettazione di eredità con il beneficio di inventario, opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato, sicché la sua eventuale designazione da parte dell'erede accettante con beneficio si configura come semplice indicazione e non come vero e proprio conferimento di incarico professionale. Tra i compiti del notaio, rientra quindi anche la diretta attestazione circa l'esistenza o no di ulteriori beni mobili da inventariare, risultando pregiudicata, in caso di mera riproduzione delle dichiarazioni in tal senso ricevute dagli eredi, l'elevata affidabilità che l'ordinamento pretende sul contenuto degli atti direttamente ricevuti dal pubblico ufficiale. La ragione della previsione della redazione del verbale di inventario per mezzo di un pubblico ufficiale non risiede nella necessità di garantire il mero dato quantitativo della completezza delle attestazioni dell'erede, quanto piuttosto nella necessità di garantire un fattore qualitativo, derivante dall'elevato grado di perizia che ragionevolmente deve attendersi dallo svolgimento dell'attività da parte di un pubblico ufficiale. Per questi motivi, l'idoneità dell'inventario ad attestare l'effettiva consistenza patrimoniale del de cuius, anche a garanzia dei creditori di quest'ultimo, scaturisce tanto dalla completezza delle dichiarazioni rese dall'erede, quanto dalla pubblica attestazione svolta dal notaio.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice - Presidente -

Dott. GORJAN Sergio - Consigliere -

Dott. BELLINI Ubaldo - rel. Consigliere -

Dott. CARRFATO Aldo - Consigliere -

Dott. ABETE Luigi - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28098-2013 proposto da:

A.M.R., elettivamente domiciliata in PALERMO, VIA M.SE UGO 26, presso lo studio dell'Avvocato FEDERICO FERINA che la rappresenta e difende;

- ricorrente -

contro

A.V., + ALTRI OMESSI, ciascuno in proprio e quale erede di L.J.A.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 1634/2012 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 19/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2012 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'Avvocato FEDERICO FERINA, per la ricorrente, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con atto di citazione, ritualmente notificato il 23 dicembre 1978, A.V. esponeva che, in data (OMISSIS), era deceduto a (OMISSIS) il padre A.A., lasciando eredi legittimi, oltre all'attore, i fratelli M.R., M., C., G., R. e S., con l'usufrutto in favore della madre L.J.A.; e che la massa, formata da numerosi immobili e dalla quota di una impresa edile, era stata detenuta senza rendere il conto del'amministrazione dal solo A.M.. L'attore chiedeva quindi lo scioglimento della comunione e la resa dei conti tra i coeredi.

Si costituivano tutti i convenuti, fatta eccezione per L.J.A., non opponendosi alla divisione. M. e A.G., inoltre, chiedevano un compenso per la gestione utile svolta a vantaggio della massa, oltre che darsi atto che A.M.R. aveva ricevuto, per convenzione in data 4 dicembre 1972, alcuni beni immobili in conto di anticipata divisione.

Con sentenza n. 4387/2001, depositata il 5 luglio 2001, il Tribunale di Palermo, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da A.V., dichiarava che la massa relitta da A.A., deceduto in (OMISSIS), il (OMISSIS), era formata da: quota pari a tre sesti dei magazzini di Via (OMISSIS) e del magazzino di (OMISSIS); quota pari a un mezzo della casa di primo piano in Via (OMISSIS);

appartamento e magazzino al piano terra siti in (OMISSIS); appartamento e terreno siti in (OMISSIS)); dichiarava altresì in comunione ordinaria tra i soli V., M.R., M., R. e A.C., in ragione di un quinto ciascuno gravato dall'usufrutto uxorio di L.J.A., la casa a piano terra di (OMISSIS); dichiarava che A.M.R. doveva imputare al valore della quota sui predetti immobili, a lei spettante in conseguenza della successione paterna, il controvalore dell'appartamento sito in (OMISSIS) piano settimo ed annesso vano di sgombero a piano terra, oggetto della vendita alla convenuta da parte di M.G., D.A., M. e A.C. (in notar Al. in data (OMISSIS)); respingeva le altre domande delle parti compensando integralmente le spese di lite; ordinava la cancellazione della trascrizione della domanda di scioglimento della comunione, proposta con citazione notificata il 23 dicembre 1978 (formalità trascritta il 16 gennaio 1979 ai nn. 2129 generale e 1943 particolare), esonerando il Conservatore dei PP.RR. II. da responsabilità al riguardo.

Avverso tale sentenza proponeva appello A.M.R.. A loro volta, C. e A.V. si costituivano proponendo appello incidentale.

Disposto supplemento di c.t.u., ammesso ed espletato l'interrogatorio formale e la prova testimoniale dedotta dall'appellante e da A.C., il processo - interrotto per la morte di L.J.A. - veniva riassunto dalla appellante e vi si costituivano C. e A.V., anche nella qualità di eredi della madre defunta. Si costituiva anche A.M., aderendo alla domanda di divisione e chiedendo il rigetto degli altri motivi d'appello principale e incidentale.

Con sentenza n. 1634/2012 depositata il 19 novembre 2012, la Corte d'appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato sciolta la comunione ereditaria relativa alla massa relitta da A.A. sui seguenti beni: quota pari ai 3/6 di magazzino a piano terra in (OMISSIS) oggi ai civici (OMISSIS) in catasto al foglio (OMISSIS); quota pari ai 3/6 di magazzino a piano terra in (OMISSIS) in catasto al foglio (OMISSIS) (Euro 113.500,00); quota pari ai 3/6 di magazzino a piano terra in (OMISSIS) in catasto al foglio (OMISSIS); quota pari ai 3/6 dell'intero piano cantinato facente parte dell'edificio con scivolo di accesso (posto alla testata ovest) sito in (OMISSIS) al N.C.E.U. alla partita (OMISSIS); quota pari ad un mezzo della casa al primo piano in (OMISSIS) a sinistra salendo la scala di (OMISSIS) all. UTE part. (OMISSIS); intero edificio di modesta dimensione sito in (OMISSIS) al N.C.E.U. alla part. (OMISSIS); intero appartamento al primo piano in (OMISSIS) e piccolo catoio al piano terra (OMISSIS) con terreno circostante di circa mq. 125 in catasto al fg. (OMISSIS) part. (M.U.); con conferma nel resto della sentenza impugnata e integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

Per la cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Palermo, A.M.R. ha proposto ricorso sulla base di nove motivi, depositando altresì note ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1. - Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento, nonchè ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 184, 189 e 112 c.p.c., l'omessa valutazione delle domande dalla medesima spiegate. In particolare, la ricorrente lamenta il malgoverno delle regole del rito civile in cui sarebbe incorsa la Corte d'appello, che avrebbe di fatto seguito il rito processuale attualmente vigente, ignorando le diverse regole previste dalla originaria sua formulazione, modificata dalla L. n. 581 del 1950 (c.d. vecchio rito civile) e dettate in particolare dagli artt. 112, 184 c.p.c. e art. 189 c.p.c., comma 1.

1.2. - Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la errata valutazione del valore probatorio dell'inventario redatto dal Notaio Al. di (OMISSIS), in data 31 marzo 1970, là dove la Corte d'appello afferma il principio secondo cui l'inventario stesso avrebbe valore probatorio nullo e comunque addirittura deteriore rispetto alle visure catastali.

1.3. - Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 713 c.c. e segg. e art. 112 c.p.c. (anche in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per lesione del tendenziale principio di universalità della divisione e della eccezionalità della divisione parziale.

1.4. - Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento ed in particolare l'omessa considerazione della documentazione ipocatastale prodotta in appello, nonchè, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell'art. 345 c.p.c. ed ulteriormente degli artt. 1100, 1111 e 1113 c.c. stante la negazione della necessaria ricomprensione nell'asse di immobili ceduti a terzi solo da taluni coeredi.

1.5. - Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento, in particolare per omessa lettura degli atti processuali e della integrale documentazione ipocatastale allegata alla C.T.U. (e successivi richiami), nonchè, anche ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'art. 345 codice di rito ed ulteriormente la violazione degli artt. 1100, 1111 e 1113 c.c. sulla necessaria ricomprensione nell'asse di immobili ceduti a terzi solo da taluni coeredi.

1.6 - Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 1470, 1498 e 1252 c.c. in ragione dell'inserimento nella massa comune dell'immobile sito in (OMISSIS), e del rigetto del quarto motivo d'appello.

1.7. - Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza o del procedimento in particolare per omessa considerazione della domanda correttamente spiegata in primo grado, nonchè, anche ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 184, 189 e 345 c.p.c., in relazione alla ammissibilità della domanda precisata a seguito di emendatio libelli in primo grado.

1.8. - Con l'ottavo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione degli artt. 2729 e 2730 c.c. e art. 116 c.p.c., per erronea valutazione degli atti processuali della controparte in relazione all'ammissione della gestione esclusiva dell'impresa e del compendio ereditario.

1.9. - Con il nono motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell'art. 91 c.p.c., in quanto, in tema di giudizio di divisione, le spese vanno poste a carico della massa con proporzionale incidenza sui singoli condividenti in ragione delle quote di ciascuno.

2. - Il primo motivo non è fondato.

2.1. - A ben vedere, quello che, in sostanza, l'odierna ricorrente contesta è non già la asseritamente errata applicazione da parte della Corte d'appello - a fronte di un giudizio proposto con citazione notificata il 23 dicembre 1978 - delle regole del rito processuale civile riformato dalla L. n. 353 del 1990 (il cui art. 90, comma 1, come sostituito dal D.L. 21 aprile 1995, n. 121, art. 1, più volte reiterato, da ultimo dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, art. 9, convertito in L. 20 dicembre 1995, n. 534, stabilisce che "ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data"), quanto l'omissione in cui sarebbero incorsi il C.T.U. e, di conseguenza, i giudici di primo e secondo grado, nel non accertare integralmente l'oggetto della divisione secondo il thema decidendum legittimamente introdotto dalle parti. Ed in particolare il non avere tenuto conto di quanto ritualmente e ripetutamente dedotto dalla ricorrente medesima onde pervenire all'accoglimento della sua richiesta di divisione dell'intera massa comune, come risultante composta da tutti i beni mobili ed immobili, denaro, crediti, poste passive e quant'altro relitto dal de cuius A.A., al momento dell'apertura della successione, inseriti nell'inventario redatto (in ragione della presenza di minori chiamati all'eredità) dal Notaio Al. del 31 marzo 1970 (come specificamente riportati anche nelle conclusioni trascritte nell'epigrafe della sentenza d'appello gravata: pp. 4-9).

2.2. - E' pertanto, viceversa, evidente che le formulate doglianze non attengono alla configurazione di violazioni delle regole del rito civile vigente ratione temporis, e quindi non configurano errores in procedendo. La ricorrente infatti non specifica (nè formalmente contesta) che si siano verificate, nel giudizio a quo, specifiche preclusioni, che abbiano arrecato lesioni o restrizioni alla maggiore latitudine e flessibilità di esercizio delle sue facoltà processuali, come garantita dal vecchio rito civile. Essa, piuttosto, deduce che - nonostante fosse stato originariamente affidato al C.T.U. l'incarico di "descrivere e valutare i beni caduti in successione e di cui all'inventario redatto in Notar Al., procedere alla formazione delle quote a ciascuna delle parti spettanti", e nonostante questi fosse stato richiamato a chiarimenti, anche attraverso supplemento di accertamento disposto in grado di appello - il consulente ometteva di comprendere nella massa da dividere alcuni immobili appartenenti al de cuius, con ciò non rispondendo alla domanda, reiterate durante tutto il corso del processo, di divisione dell'intera massa comune, come risultante composta indiscriminatamente da tutti i beni mobili ed immobili, crediti e quant'altro relitto dal medesimo.

Ove anche in ipotesi verificatasi, tale omissione, in cui si lamenta siano incorsi conseguentemente anche il Tribunale e la Corte d'appello, si sostanzierebbe non già in un vizio procedimentale, quanto semmai in un errore in judicando involgente (in ultima analisi) la correttezza della valutazione giudiziale circa la fondatezza della domanda, anche in riferimento alla condivisione o meno delle argomentazioni poste a supporto dell'inclusione o della esclusione dei beni elencati nell'inventario ed inclusi nella massa ereditaria.

3. - Il secondo motivo è fondato.

3.1. - La Corte d'appello di Palermo ha sottolineato testualmente che "quanto all'inventario del notaio Al., va osservato che è stato redatto sulla base delle sole dichiarazioni delle parti, cosicchè da detto documento non può ricavarsi alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni in capo al de cuius e, quindi, in ordine alla loro appartenenza all'asse ereditario da dividere".

Orbene, va rilevato che, nel degradare l'inventario a documento privo di rilevanza probatoria, la Corte territoriale ha errato nel non considerare che, ai sensi dell'art. 775 c.p.c., il notaio è in quella sede tenuto ad accertarsi della reale consistenza dell'asse, sicchè l'inventario da lui rogato acquisisce valore di vera e propria prova sulla consistenza effettiva del patrimonio relitto. E, d'altronde, va altresì sottolineato che non è contestato che l'inventario del Notaio Al. di (OMISSIS), in data 31 marzo 1970, era stato da questo redatto a seguito di incarico, conferito dal Pretore di (OMISSIS) con decreto del 7 febbraio 1968 (in ragione della presenza di minori chiamati a succedere al de cuius, deceduto in data (OMISSIS), come si evince dall'epigrafe della sentenza di appello, da cui risulta che V., G., R. e A.S., al momento dell'apertura della successione, non avevano raggiunto la maggiore età, all'epoca fissata a 21 anni ai sensi dell'originario testo dell'art. 2 c.c., prima della modifica apportata dalla L. n. 39 del 1975, art. 1 in vigore dal 10 marzo 1975).

3.2.1. - Questa Corte (in materia di responsabilità disciplinare) ha affermato la natura pubblica dell'ufficio ricoperto dal notaio e la pubblica fede attribuita dalla legge agli atti dal medesimo rogati nell'esercizio della sua funzione (Cass. n. 17266 del 2015). Ed ha sottolineato che il notaio, nell'assolvimento dei compiti inerenti ad accettazione di eredità con il beneficio di inventario, opera quale ausiliario del giudice che lo ha nominato, sicchè la sua eventuale designazione da parte dell'erede accettante con beneficio si configura come semplice indicazione e non come vero e proprio conferimento di incarico professionale (Cass. n. 9648 del 2000).

3.2.2. - A sostegno della sussistenza, in capo al notaio, dell'obbligo di attestare personalmente la presenza o meno di ulteriori beni da inventariare, la Corte (Sent. n. 17266 del 2015, cit.) richiama l'art. 775 c.p.c., che espressamente prevede quale debba essere il contenuto dell'inventario, stabilendo al comma 1, che: "Il processo verbale d'inventario contiene: 1) la descrizione degli immobili, mediante l'indicazione della loro natura, della loro situazione, dei loro confini, e dei numeri del catasto e delle mappe censuarie; 2) la descrizione e la stima dei mobili, con la specificazione del peso e del marchio per gli oggetti d'oro e d'argento; 3) l'indicazione della quantità e specie delle monete per il danaro contante; 4) l'indicazione delle altre attività e passività; 5) la descrizione delle carte, scritture e note relative allo stato attivo e passivo, le quali debbono essere firmate in principio e in fine dall'ufficiale procedente. Lo stesso ufficiale deve accertare sommariamente lo stato dei libri e dei registri di commercio, firmarne i fogli, e lineare gli intervalli"; e al secondo comma che "Se alcuno degli interessati contesta l'opportunità d'inventariare qualche oggetto, l'ufficiale lo descrive nel processo verbale, facendo menzione delle osservazioni e istanze delle parti". Tra i compiti del notaio, rientra quindi anche la diretta attestazione circa l'esistenza o no di ulteriori beni mobili da inventariare, risultando pregiudicata, in caso di mera riproduzione delle dichiarazioni in tal senso ricevute dagli eredi, l'elevata affidabilità che l'ordinamento pretende sul contenuto degli atti direttamente ricevuti dal pubblico ufficiale.

3.2.3. - In secondo luogo, la Corte sottolinea che (con riferimento all'art. 192 disp. att. c.p.c.) l'interpello agli eredi presenti al momento dell'inventario sull'esistenza di altri beni da ricomprendere nell'inventario non può logicamente essere svolto, da parte di chi proceda alla redazione dell'inventario, se non dopo una personale ricognizione sui beni da inventariare, risultando, altrimenti, priva di utilità la previsione di procedere all'interpello.

3.2.4. - Osserva, infine, la Corte che (siccome "una qualsiasi omissione parziale nell'indicazione di beni ereditari è idonea a ledere i diritti dei creditori del defunto": Cass. n. 16195 del 2007) tale omissione produce, evidentemente, conseguenze diverse per l'erede dichiarante e per il notaio rogante, ma tali conseguenze rispondono alla comune esigenza di tutela dei creditori del de culus. Pertanto non può essere condivisa la tesi circa la natura di atto unilaterale a contenuto dichiarativo dell'inventario, nel quale è la parte, e non il pubblico ufficiale, a dover rendere le dichiarazioni prescritte dalla legge, giacchè, quel che l'ordinamento pretende dal notaio rogante, infatti, non è la completezza delle dichiarazioni, requisito al quale deve ottemperare l'erede dichiarante, ma è la possibilità di attribuire pubblica fede alla attività da lui espletata. Sicchè il notaio deve operare affinchè l'atto finale risulti esente da omissioni che potrebbero minare la pubblica fiducia sulla osservanza delle procedure previste per la redazione dell'atto.

La ragione della previsione della redazione del verbale di inventario per mezzo di un pubblico ufficiale, in altri termini, non risiede nella necessità di garantire il mero dato quantitativo della completezza delle attestazioni dell'erede, quanto piuttosto nella necessità di garantire un fattore qualitativo, derivante dall'elevato grado di perizia che ragionevolmente deve attendersi dallo svolgimento dell'attività da parte di un pubblico ufficiale. Per questi motivi, l'idoneità dell'inventario ad attestare l'effettiva consistenza patrimoniale del de cuius, anche a garanzia dei creditori di quest'ultimo, scaturisce tanto dalla completezza delle dichiarazioni rese dall'erede, quanto dalla pubblica attestazione svolta dal notaio.

3.3. - In conclusione, dunque, l'inventario redatto dal notaio ex art. 775 c.p.c. non poteva essere svalutato a mero atto riproduttivo delle dichiarazioni provenienti dai privati, e pertanto, come tale, ritenuto inidoneo a fornire alcun elemento in ordine alla effettiva titolarità dei beni ivi elencati in capo al de cuius, dovendo essere considerato (almeno fino a prova contraria) quale fonte privilegiata di convincimento in ordine alla ricostruzione ed all'ammontare dell'asse ereditario, al momento della apertura della successione.

4. - Poichè tale pronuncia - comportando necessariamente una riconsiderazione complessiva dei beni facenti parte dell'asse ereditario, al fine dello scioglimento della comunione e della resa dei conti tra i coeredi - produce effetti pregiudiziali e riflessi su tutti gli altri motivi di impugnazione, gli stessi vanno dichiarati assorbiti.

5. - Nei limiti di cui in motivazione, rigettato il primo motivo, il ricorso deve essere accolto, con assorbimento dei restanti motivi, e la sentenza impugnata va dunque cassata e rinviata alla Corte d'appello di Palermo che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, rigettato il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, con assorbimento dei restanti motivi. Cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2018


Avv. Francesco Botta

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